Se è vero che il batter d’ali di una farfalla in Brasile può provocare un tornado in Texas, allora una singola fotografia può fare la differenza in ogni parte del mondo in cui viene vista e determinare un significativo spostamento di prospettiva fino a scatenare un cambiamento a lungo termine? Magari a migliaia di chilometri di distanza?
In matematica si parla di effetto farfalla, in fotografia possiamo parlare di consapevolezza.
Ha puntato a questo la giuria che ha scelto i vincitori dei Photobook Awards 2019, formata da Irene Attinger, curatrice; Osei Bonsu, curatore presso la Tate Modern di Londra; Emma Bowket, direttore della fotografia presso FT Weekend Magazine; Takashi Homma, artista; Nina Strand, editrice e fondatrice di Objektiv Press.
I vincitori
I tre progetti di fotografia vincitori di questa edizione vogliono farci aprire gli occhi sulla realtà che ci circonda, sulla nostra storia e sul modo di rapportarci all’altro, alterando in modo determinante l’andamento delle nostre convinzioni nel tempo.
Dal 2012 Paris Photo e Aperture Foundation premiano gli editori e i fotografi che danno un significativo contributo al rapporto tra narrazione e fotografia.
Fotolibro dell’anno:
The Coast di Sohrab Hura,
Sohrab Sura è un artista indiano che lavora con la fotografia e il video e The Coast è il suo quarto foto libro. Si tratta dell’ultima iterazione di un lungo progetto che affronta e analizza il tema violenza. Una sua rappresentazione urgente, veloce e immediata ha portato alla realizzazione del film The Lost Head & The Bird. Il foto libro è una sorta di superamento del film perché approfondisce alcuni aspetti che l’urgenza espressiva del video non poteva affrontare.
The Coast racconta la violenza che caratterizza l’India contemporanea tramite immagine sfuggenti e allucinate, scatti realizzati in scenari spesso da incubo con persone incontrate lungo la costa indiana.
La struttura del libro
La narrazione si sviluppa in dodici iterazioni cioè 12 versioni diverse della stessa storia: un racconto assurdo su una donna la cui testa è stata rubata dall’amante ossessivo. Sono i dettagli a fare la differenza perché la le iterazioni variano a livello quasi microscopico, spesso sono poche parole che portano il lettore ed osservatore ad assumere di volta in volta un diverso punto di vista sulla realtà.
Gli scatti sono reali ma tutto è manipolato. Le foto sono decontestualizzate, prive di dettagli e di punti di riferimento perché vogliono rendere labili i confini della verità.
Il libro ci sta dicendo che siamo davanti a un mondo di maschere, sin dalla copertina. La foto infatti ritrae una persona mascherata durante una festa religiosa, durante la quale si indossano delle maschere che svaniscono immergendosi in mare e lasciandosi purificare dai peccati. Maschere, peccati, violenza, povertà. È talmente facile giocare con i dettagli della storia e ribaltare i fatti. Anche in quella che tutti noi chiamiamo realtà.
Nello spaccato d’India offerto dal fotografo tutto può essere atrocemente reale ma può anche non esserlo. A volte la realtà è solo il frutto delle manipolazioni o variazioni che si fanno di una storia, esattamente come nel libro. Ed è esattamente questo che rende tanto impotenti i sui personaggi.
Secondo l’artista “some might imagine to be a fable-like tale, while others might recognize in it, reality”.
Pagine: 224
Formato: Edizione rilegata
Casa editrice: Auto pubblicazione, Ugly Dog
Catalogo fotografico dell’anno:
Enghelab Street, A Revolution through Books: Iran 1979-1983 di Hannah Darabi
Il titolo Enghelab Street, A Revolution through Books: Iran 1979-1983 è stato primo di tutto il titolo di una mostra, tenutasi nello spazio espositivo di LE BAL a Parigi, dal 9 gennaio all’11 febbraio 2019. Successivamente è diventato il titolo di un catalogo fotografico o meglio, un saggio visivo sulla libertà di opinione e la libertà di stampa. La via che dà il titolo al progetto: “Enghelab Street” è un’importante strada di Teheran piena di case editrici e librerie, protagonista di un vero e proprio scoppio della produzione di libri tra il 1979 e il 1983. Sono statti anni cruciali per la storia iraniana che ha assito alla caduta del regime e all’introduzione post rivoluzionaria della repubblica islamica. Si è trattato di una pausa di pochi anni ma molto intensi per l’editoria iraniana che ha raggiunto un picco produttivo.
Hannah Darabi ha lavorato con la cura e la metodologia di un’archivista e collezionista: ha raccolto diversi esempi di libri e foto libri e li ha messi in dialogo con documenti personali e foto della sua città.
Struttura:
Il risultato è un libro diviso in tre sezioni, ricco di memorie personali e collettive: prima di tutto una panoramica generale della foto editoria iraniana;
poi una sezione dedicata al libro come veicolo di idee in un momento di forte urgenza espressiva che secondo l’autrice è visibile nell’estetica degli oggetti e nelle rilegature poco preziose;
infine una sezione di “ricostruzioni” realizzate tramite documenti, foto di oggetti personali e di famiglia.
La ricerca alla base di Enghelab Street, A Revolution through Books non riguarda solo la storia politica dell’Iran ma la cultura e l’uso dell’immagine su scala internazionale. Infatti, tramite materiali molto rari, spesso introvabili anche online ci fa riflettere sulla libertà di stampa e la catalogazione con un’estetica contemporanea molto potente.
Formato: Brossura
Casa editrice: Spector Books
Anno di pubblicazione: 2019
Pagine: 540
Primo fotolibro:
The Eighth Day di Gao Shan
Otto.
Otto giorni trascorsi dalla nascita del fotografo ad Anyang nel 1988 al giorno della sua adozione.
The Eighth Day è il frutto di un lavoro iniziato nel 2016 e ancora in corso: è un progetto nato dal desiderio del fotografo di creare una legame con la madre adottiva che ha sentito sempre distante seppure sempre a pochi passi da lui.
Il fotografo Gao Shan ha immortalato i dettagli di una quotidianità vissuta a stretto contatto con la madre adottiva in un appartamento di 70mq. Quello che Gao restituisce agli osservatori del suo lavoro è un libro di fotografie scattate in modo quasi ossessivo ma senza fini documentari, un racconto di cui non è spettatore ma protagonista, attraverso il quale vuole superare l’indifferenza che ha sentito per anni.
Di conseguenza la macchina fotografica diventa uno strumento per superare la distanza che ha caratterizzato il rapporto tra madre e figlio: la chiave di volta di un nuovo rapporto. Una terza vita. Un lavoro che Joanna Milter ha definito “inspiegabilmente commovente”.
Formato: Brossura
Casa editrice: Imageless Studio, Wuxi
Anno: 2019
Credits:
Paris Photo
Aperture Foundation